Recensione di Diario di un Pazzo su Percorsi Musicali
Nurra è sardo per la verità, ma questo cd è stato fatto in casa Cusa (Improvvisatore Involontario). Prendendo spunto da l'omonimo testo dello scrittore cinese Lu Xun del 1918 (Diary of a Madman), Nurra si dedica ad una trasposizione personale dell'argomento, costruendo dieci storie distinte (in Diary of a Madman ricorreva una equivalente struttura di 13 brevi racconti) ma collegabili, in virtù delle quali il tema della follia diventa il tema della sopraffazione degli uomini. L'esposizione è naturalmente aggrappata non solo alla musica ma anche a dei testi appositamente stilati per l'occasione (Lalla Careddu, Alessandro Carta e lo stesso Cusa).
Assieme a Cusa, Nurra conduce alcuni cantanti dei Naked Musicians (Marta Raviglia e Vincenzo Vasi), in più compaiono Simone Sassu, Riccardo Pittau e Alessandro Zolo, nonchè lo stesso Cusa si ritrova alla batteria.
Lo stile è vicino ai lavori migliori del Cusa agitatore culturale: in un'atmosfera del tutto improntata alla stanticità (l'inizio strumentale tra basso pulsante e bislaccherie sembra evocare un percorso alla Tom Waits), grazie alla sterzata di "Freaks" l'ascoltatore viene condotto in un progressivo labirinto di ritmica e elettronica misteriosa, in cui il richiamo "vocale" diventa essenziale per congetturare anomalie: la pluralità di situazioni vocali che si presentano, e che sono il frutto di uno splendido empasse dei cantanti, spazia da espressioni simil-religiose a tinte lounge, da scat jazzistici fino al finto dadaismo coperto da inflessioni dance moderne di Lora Panica. I due ibridi tra testo e musica sono Prima che vengano a prenderci, una sintomatica e grottesca descrizione (su basi jazz) di un pazzo che si confessa vicino al letto di morte della sua amata in una descrizione lugubre e scioccante e Preghiera, un evocazione a Gesù che lascia di stucco per la ricerca delle debolezze, ma che si avvicina più a un reading che ad un brano musicale. Non aver paura della zia Marte è un sabba oscuro con cori malati ed un anima in pena che cerca di organizzare un linguaggio nettamente di contrasto, mentre ritmi e voci tropicalizzate si uniscono a linguaggi onomatopeici assolutamente incomprensibili (tra il litanico fanciullesco e l'oppressione canora di David Byrne) in Pour en finir avec le jugement de dieu. La tromba di Pittau domina il jazz di Anna Satta per gli amici Sattanna.
Diario di un pazzo sembra composto facendo zapping musicale: è pieno di riferimenti a circostanze stilistiche sperimentate, ma di una tale originalità nella loro composizione che le fa apparire come immacolate: le conduzioni vocali, i saggi arrangiamenti, le interposizioni con le altri arti (in questo caso potremmo dire letteratura e teatro) sono di fronte a voi solo per farsi apprezzare, non c'è bisogno di nient'altro. Si potrebbe obiettare del carattere specifico della proposta che mette assieme energia e ribrezzo, derisione e orrore, ed una certa tensione più utilmente sfruttabile per una rappresentazione teatrale, ma questo è il prezzo da pagare per assorbirne l'originalità; d'altronde la sclerotica contraddizione degli opposti o qualsiasi fenomenologia del "brutto" non è anch'essa arte? (Ettore Garzia)